martedì 23 novembre 2010

Un po' di storia di SMD

"Qualche tempo fa iniziai ad appassionarmi di plasmoni di superficie", racconta Enzo Di Fabrizio, "e in seguito scoprii che era possibile costruire delle nanostrutture che permettevano di convogliare l'onda elettromagnetica in punti molto localizzati nello spazio. La mia esperienza di spettroscopista, mi suggerì che avrei potuto utilizzare i plasmoni di superficie e la nanostruttura per fare spettroscopia di un agglomerato piccolo di molecole."

Nel 2008 in un articolo pubblicato sulla rivista NanoLetters, Di Fabrizio e il gruppo di ricercatori da lui coordinato dimostrarono di avere realizzato un "nuovo dispositivo nano-ottico per il biosensing" capace di analizzare un numero di molecole che andava da 10 a 200.

"Scrivere quell'articolo fu veramente faticoso" ricorda Francesco De Angelis, oggi team-leader all'IIT; "eravamo a Catanzaro, da Pavia ci raggiunse anche Maddalena Patrini. Io, Enzo, Maddalena e Gobind ci rinchiudemmo per quattro giorni in ufficio, lavorando anche di notte per scrivere l'articolo. Dalla rivista ci arrivò un riscontro positivo, ma con la richiesta di altre misure, e siccome avevamo poco tempo fu un vero tour de force".
 

"Intanto" continua Di Fabrizio, "dialogando con medici e biologi, per esempio a Trieste con Vincent Torre a Catanzaro con Gianni Cuda, alcuni post-doc e dottorandi, ci venne l'idea di costruire un dispositivo che fosse utile alla ricerca biomedica. In biomedicina è infatti molto importante riuscire ad avere informazioni sullo stato chimico e strutturale delle molecole della vita, come proteine o DNA, soprattutto quando una loro variazione è legata all'insorgenza di patologie. L'idea innovativa fu allora quella di rendere un AFM, che è uno scanning probe morfologico, anche uno strumento ottico che dia informazioni chimiche". 

Mentre il gruppo di ricerca si estendeva coinvolgendo partner esteri e si trasformava in una richiesta di finanziamento alla Commissione Europea, il progetto proseguiva. “Il nostro obiettivo era quello di fare ricerca al livello delle ricerche pubblicate su Nature Nanotechnology” dice Francesco De Angelis, e infatti il gruppo italiano si misurò presentando un articolo alla rivista. "Fu faticoso anche quella volta, ma molto meno, grazie all'esperienza maturata con Nanoletters." 

La richiesta di finanziamento europeo venne accettato e la risposta positiva di Nature Nanotechnology arrivò proprio durante il kick-off meeting del progetto a Trieste, nell'estate 2009.

Nel gennaio 2010 Nature Nanotechnology dedicò sia la copertina che l'editoriale all'articolo. 

"Una tecnologia di questo genere" conclude Di Fabrizio, "potrà essere applicata alla diagnosi precoce di patologie come il cancro. La sensibilità dello strumento a poche molecole, permetterà il riconoscimento delle alterazioni molecolari legate all'espressione di una patologia, quando ancora le molecole sono poche e rare in un organismo sano".

Nessun commento:

Posta un commento